Interessata in età protostorica dalla cultura dei castellieri, la regione fu popolata, nel corso del IV secolo a.C., da genti di origine celtica ed in particolare dai Carni, che introdussero, nei territori da loro occupati ed in quelli limitrofi, nuove ed avanzate tecniche di lavorazione del ferro e dell’argento. L’attuale Friuli fu successivamente colonizzato dai Romani (a partire dal II secolo a.C.) e venne profondamente influenzato dalla civiltà latina, grazie anche alla presenza dell’importante centro di Aquileia, quarta città d’Italia e fra le principali dell’impero, capitale della X Regione augustea Venetia et Histria.
L’invasione unna segnò l’inizio della decadenza: Aquileia, protetta da forze esigue, si arrese per fame e venne espugnata e rasa al suolo da Attila nel 452. L’insicurezza della pianura friulana, punto di passaggio di tutte le grandi invasioni barbariche, spinse in quell’epoca molte persone a trovar rifugio nelle isole o nei borghi fortificati sulle colline, determinando in tal modo lo spopolamento della parte più fertile della regione ed un suo generale impoverimento.
Dopo il crollo dell’Impero romano d’Occidente il Friuli entrò a far parte del Regno di Odoacre e successivamente di quello ostrogoto di Teodorico. La riconquista bizantina voluta dal grande Giustiniano (535-553) fu, per la Regione, di breve durata: nel 568 i Longobardi la occuparono. La capitale venne spostata a Forum Iulii, che, nei secoli successivi, mutò il suo nome in quello di Cividale del Friuli. La città, prima ancora di perdere definitivamente la sua denominazione latina, diede a sua volta il proprio nome all’intero territorio. Con successivi passaggi linguistici infatti, il nome Forum Iulii, sulla bocca delle popolazioni friulane di allora, si trasformò in Friûl e si estese fino ad indicare la totalità del ducato longobardo friulano.
Il 3 aprile del 1077 è una data che resterà per sempre impressa nella storia del Friuli: in questa giornata memorabile infatti l’imperatore Enrico IV concesse al Patriarca Sigeardo, per la sua fedeltà al potere imperiale, la contea del Friuli con prerogative ducali. Tale linea filo-imperiale, seguita anche dai successori di Sigeardo, permise loro di consolidare lo Stato, la Patrie dal Friûl, che oltre a tale regione incluse in periodi storici diversi anche Trieste, l’Istria, la Carinzia, la Stiria, il Cadore.
L’esperienza del Patriarcato si concluse nel 1420, quando il Friuli fu annesso alla Repubblica Veneta.
Il Friuli, utilizzato spesso come Stato cuscinetto in funzione antiturca, fu ripetutamente devastato da una lunga serie di guerre per il suo possesso fra Venezia e gli Asburgo.
Quando, a partire dal terzo decennio del XVII secolo la Repubblica Veneta entrò in un processo di decadenza irreversibile, un rapido processo di impoverimento colpì anche il Friuli, soggetto ad una pressione fiscale sempre più opprimente ed alla crisi pressoché totale delle sue industrie e dei commerci.
A partire dal 1516 l’Impero Asburgico controllò il Friuli orientale, mentre il Friuli occidentale e centrale rimase veneziano fino al 1797, anno del trattato di Campoformido, quando in seguito alle campagne napoleoniche anche questa parte del Friuli venne ceduta all’Austria, che la perse per un breve periodo in cui fece parte del Regno italico, dal 1805 fino alla Restaurazione.
Nel 1815, il Congresso di Vienna sancì la definitiva unione di Veneto e Friuli con la Lombardia austriaca, venendosi in tal modo a costituire il Regno Lombardo-Veneto. Una ventina d’anni più tardi, il mandamento di Portogruaro, da sempre friulano per storia, cultura, geografia e a lungo anche per lingua, fu tolto per volontà austriaca dalla Provincia del Friuli e assegnato alla Provincia di Venezia (1838). Il Friuli centrale (attuale provincia di Udine) e il Friuli occidentale (attuale provincia di Pordenone) furono annessi all’Italia nel 1866 assieme al Veneto subito dopo la Terza guerra di indipendenza, mentre il Friuli orientale (la cosiddetta Contea di Gorizia e Gradisca) rimase soggetto all’Austria fino al termine della Prima guerra mondiale.
Durante la Prima guerra mondiale il Friuli, che all’epoca si trovava diviso tra Regno d’Italia e Austria-Ungheria (Provincia di Udine per il Regno d’Italia; una parte della Contea di Gorizia e Gradisca per l’Impero d’Austria-Ungheria), fu teatro delle operazioni belliche, che ebbero conseguenze gravose per la popolazione civile, soprattutto dopo la disastrosa disfatta di Caporetto.
Durante il periodo del fascismo il Friuli dovette subire un processo di assimilazione etnica, di cui furono vittime soprattutto la popolazione slovena e quella tedesca. Forte fu anche la pressione sulla comunità friulana, che il fascismo tentò di usare in funzione anti-slava. L’assimilazione comportava anche la proibizione dell’uso delle lingue slovena, tedesca e friulana, nonché l’italianizzazione forzata di cognomi e nomi sloveni, tedeschi e friulani.
A partire dal mese di giugno del 1940 il Friuli fu coinvolto, come il resto d’Italia, nella Seconda guerra mondiale e ne seguì le sorti. Lutti, restrizioni e disagi di ogni tipo si acuirono soprattutto a partire dall’inverno del 1942-1943 con i primi bombardamenti aerei su alcuni centri abitati della Regione. Dopo l’8 settembre 1943 il Friuli venne sottoposto al controllo diretto del Terzo Reich, interessato ad avere uno sbocco sull’Adriatico e a sottrarre le zone confinarie all’influenza della Repubblica Sociale Italiana. Anche il movimento partigiano acquistò una forza sempre maggiore tanto da creare la Repubblica libera della Carnia nel 1944. Il 1º ottobre 1943, era infatti stato istituito dalla Germania nazista l’Adriatisches Küstenland, formato dalle Province di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana. Quest’ultima era stata costituita nel 1941, subito dopo l’aggressione nazifascista al Regno di Jugoslavia, con quella parte di territorio sloveno soggetto all’occupazione italiana. I tedeschi si avvalsero anche delle truppe cosacche antistaliniste, per tentare di debellare le formazioni partigiane nell’Alto Friuli. Nell’inverno 1943-1944 penetrò nelle zone montuose del Friuli orientale (Slavia Friulana) anche il movimento di resistenza sloveno a egemonia comunista, che vi restò attivo fino alla fine della guerra. È proprio all’interno dei tesi rapporti tra la resistenza titoista jugoslava e le varie componenti di quella italiana che si inquadra l’episodio dell’eccidio di Porzûs. Nell’ inverno 1944-45 gli scali ferroviari di Udine e della Val Canale, i ponti sul Tagliamento ed altri obiettivi strategici, subirono nuovi e pesanti bombardamenti aerei anglo-americani. Il 30 aprile 1945 l’intera Regione poteva considerarsi completamente libera dall’occupazione nazista.
Al termine della seconda guerra mondiale si propose il problema della definizione dei confini tra la Jugoslavia e l’Italia, che riguardava anche la fascia orientale del Friuli, da Tarvisio a Monfalcone. Fra il 1945 e il 1947, furono formulate le più svariate proposte sui nuovi confini tra i due paesi.
Nel 1947, quando ancora non era stato ratificato il trattato di pace, nella costituzione italiana, come dimostrazione politica che l’Italia non intendeva rinunciare all’Istria, a Trieste e al Goriziano, fu aggiunto al nome Friuli, anche quello di Venezia Giulia pur se diviso da un trattino. Tale scelta fu avversata dall’opinione pubblica friulana, che proprio nell’immediato secondo dopoguerra, iniziava a rivendicare l’autonomia per la propria Regione.
A partire dagli anni sessanta si iniziò a discutere su alcuni temi strettamente collegati tra loro: la creazione della Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia e di un’università friulana, il problema delle servitù militari che limitavano lo sviluppo economico della Regione, il riconoscimento della lingua friulana, il problema dell’emigrazione che colpiva duramente le terre friulane, la questione dei rapporti tra il Friuli e Trieste. In quel decennio (1966) nacque anche il Movimento Friuli, il partito politico che incarnò le istanze friulaniste per due decenni. Nonostante la presenza di questi fermenti autonomisti, in Friuli la Democrazia Cristiana rimase per decenni il partito di maggioranza relativa (con una presenza più consistente delle sinistre in Carnia, in Bisiacaria e nel Mandamento di Cervignano).
(Tratto da Wikipedia)